Descrizione
Goffredo Mameli (Genova 1827 – Roma 1849) partecipò ai moti rivoluzionari del 1848-49 diventando al contempo un seguace di Giuseppe Mazzini, suo eroe particolare e di Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi. Nel 1848 combatté in Lombardia, nella prima guerra d’Indipendenza. Nel 1849 si unì alle truppe di Garibaldi, entrando a Roma. Partecipò, con valore, alla difesa della Repubblica Romana contro i Francesi. Il tre giugno dello stesso anno fu gravemente ferito, morì un mese dopo. Le autorità francesi si rifiutarono di restituire il corpo al padre. Oggi, Goffredo Mameli, come altri valorosi patrioti, riposa al Gianicolo, nel punto dove la citta’ di Roma fu più coraggiosamente difesa. Mameli scrisse le parole del “Canto degli Italiani” nel settembre 1847, poi, il 23 novembre 1847, portò l’inno all’amico musicista Michele Novaro (1822-1885) che viveva a Torino. In una notte, Novaro compose la musica e il giorno seguente, a Genova, consegnò il testo musicato a Mameli. Qualche giorno piu’ tardi, il primo dicembre, “Fratelli d’Italia” fu suonato per la prima volta ad una assemblea popolare. La melodia invase brevemente tutta la penisola, cantata da tutti per sfidare gli Austriaci, i Borboni e la polizia Papale.
l’Inno di Mameli (questa la denominazione assunta dall’Inno nella cultura corrente) fu associato alla Bandiera Tricolore come segno della volontà di indipendenza nazionale fin dai primi moti popolari che precedettero l’esplosione rivoluzionaria del 1848. E attorno alla Bandiera Tricolore e all’Inno Nazionale si strinsero i milanesi nelle Cinque Giornate del marzo ’48. Giuseppe Massari, il primo biografo di Cavour e di Vittorio Emanuele II, lo ha definito come il vero e proprio Inno Nazionale italiano. E come tale dovette considerarlo anche Giuseppe Verdi, che lo inserì, accanto alla Marsigliese e all’Inno Nazionale inglese (God Save the King), nell’Inno delle Nazioni, da lui composto in occasione dell’Esposizione Universale di Londra del 1864. Dopo il Referendum del 1946 che portò il sistema repubblicano a prevalere su quello monarchico, l’ “Inno di Mameli” divenne ufficialmente l’Inno Nazionale Italiano.
Una brevissima introduzione porta alla prima sezione in Fa maggiore, corrispondente alla strofa. Si tratta di quattro frasi regolari anacrusiche, in schema “a a b a”, seguite da un piccolo ponte modulante. Il tema principale è affidato al flauto soprano 1°; il flauto contralto esegue un controcanto omoritmico; il flauto tenore suona una parte sfasata ritmicamente di un movimento; lo xilofono ricalca il ritmo della melodia principale, come pure fa la tastiera, però posticipando di un movimento la croma puntata e sedicesimo, come il flauto tenore. Questi due strumenti suonano doppie note, se è necessario semplificare si può far suonare solo una delle due. La chitarra trova una parte scritta molto semplice e schematica, con funzione di sostegno armonico e ritmico; anche le poche note doppie sono agevolmente eseguibili. Se si dispone di chitarristi in gamba si può arricchire la parte eseguendo altre note dell’accordo. La parte del flauto soprano 2° non presenta alcuna difficoltà. Le percussioni, invece, devono eseguire ritmi con le semicrome, che richiedono un certo impegno.
Il piccolo ponte modulante che conclude la prima sezione porta alla tonalità di Si bemolle maggiore della seconda parte del canto, corrispondente al ritornello. Il ritmo è più concitato, grazie ad un maggior uso della croma puntata seguita da semicroma. Anche questa sezione si compone di quattro frasi, le quali iniziano con una semicroma alla fine del secondo movimento. Ho preferito, però, mettere i punti di riferimento all’inizio delle battute, per maggiore comodità d’uso. La melodia principale è ora eseguita dal flauto contralto, raddoppiato dalla tastiera; al flauto soprano 1° è affidato il compito di contrappuntare a livello ritmico. Il flauto tenore e lo xilofono rinforzano il ritmo principale. Le due percussioni, tamburo e legnetti, ripetono in alternanza il ritmo di croma puntata e semicroma in una specie di ostinato ritmico.
Fratelli d’Italia
Fratelli d’Italia / L’Italia s’è desta / Dell’elmo di Scipio / S’è cinta la testa (1)
Dov’è la vittoria€ / Le porga la chioma (2) / Che schiava di Roma / Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte (3) / Siam pronti alla morte, / Siam pronti alla morte (4) / Italia chiamò
Noi fummo da secoli / Calpesti e derisi, / Perchè non siam popolo, / Perchè siam divisi.
Raccolgaci un’ unica / bandiera, Una speme, / Di fonderci insieme / Già l’ora suonò.
Stringiamoci a coorte…
Uniamoci, uniamoci / L’unione e l’amore / Rivelano ai popoli / Le vie del Signore (5)
Giuriamo far libero / Il suolo natio / Uniti per Dio (6) / Chi vincer ci può€
Stringiamoci a coorte…
Dall’Alpe a Sicilia / Dovunque è Legnano (7), / Ogn’uomo di Ferruccio (8) / Ha il cuore e la mano,
I bimbi d’Italia / Si chiaman Balilla (9) / Il suon d’ogni squilla / I vespri suonò (10).
Stringiamoci a coorte…
Son giunchi, che piegano, / Le spade vendute (11). / Già l’aquila d’Austria (12) / Le penne ha perdute
Il sangue d’Italia / Bevé col cosacco / Il sangue polacco / Ma il cor lo bruciò.
Stringiamoci a coorte…
note al testo
(1) Cioè ha riesumato l’antico valore dei Romani. Va detto che si tratta dell’Africano, non dell’Emiliano con cui lo confuse Dario Fo in un suo intervento sul Corriere chiamandolo “criminale razzista”. L’Africano era anzi il nonno dei due più famosi “sindacalisti” dell’antichità, Tiberio e Caio Gracco, morti nel tentativo di far passare le leggi agrarie.
(2) Qui il poeta si riferisce all’uso antico di tagliare le chiome alle schiave per distinguerle dalle donne libere che portavano invece i capelli lunghi. Dunque la Vittoria deve porgere la chiome perché le venga tagliata quale schiava di Roma sempre vittoriosa.
(3) La coorte, cohors, era un’unità da combattimento dell’esercito romano, decima parte di una legione; nulla a che vedere con la corte.
(4) Qui a tutti tremano le vene dei polsi, altri fanno scongiuri, ma vale la pena ricordare che l’autore fu coerente con le sue parole.
(5) A dire la verità si potrebbe intravedere in questi versi un sentimento democristiano ante litteram, ma è nota la religiosità di Mazzini, spesso deriso per questo da Marx con il nomignolo di Teopompo.
(6) “Per Dio” va inteso come un’interiezione (perbacco!) o come invito a un’unione sacra€ Più verosimile la prima lettura.
(7) Ossia la battaglia in cui i comuni italiani uniti in lega e guidati da Alberto da Giussano batterono il Barbarossa.
(8) Francesco Ferrucci che guidò i Fiorentini contro Carlo VIII di Francia e che a Maramaldo, rinnegato e traditore, gridava: “Vile, tu uccidi un uomo morto!”.
(9) Attenzione! Qui di fascisti non c’entrano. “Balilla” è il soprannome di Gianbattista Perasso, il ragazzo genovese che con il lancio di una pietra diede inizio alla rivolta di Genova contro gli austriaci nel 1746.
(10) Si tratta dei Vespri siciliani, rivolta (1282) degli isolani contro i francesi, che poi per stanarli gli facevano vedere dei ceci e gli chiedevano: cosa sono questi€ E loro, non sapendo pronunciare la “c” dolce, dicevano “sesi”, e i siciliani giù botte!
(11) Le truppe mercenarie di occupazione.
(12) L’aquila bicipite, simbolo degli Asburgo.
a cura di Valerio M. Manfredi – tratto da “Panorama” del 2 luglio 1998
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